sabato 20 settembre 2014

GRAZIA intervista Jeremy


Articolo dal GRAZIA.it 



Jeremy Irvine è al Festival del cinema di Toronto per l’anteprima di The Reach: in Canada va alle feste e alle conferenze stampa in coppia con Michael Douglas, suo compagno di set in questo film. Al cinema, invece, lo stiamo per vedere in Le due vie del destino (nelle sale dall’11 settembre), dove recita al fianco di Colin Firth e Nicole Kidman.
Diciamolo pure: per il 24enne inglese Irvine, 24 anni, è un momento d’oro. Hollywood lo corteggia e lo fa lavorare insieme ai divi più grandi. Ma c’è di più.
Il 2015 sarà il suo anno: è stato scelto come protagonista di Fallen, primo capitolo della saga scritta da Lauren Kate che lo impegnerà per cinque film. Irvine è un volto noto, ma quando questa serie uscirà diventerà una star. Come è successo a Robert Pattinson con Twilight, solo che Jeremy ha già un curriculum molto più corposo, come dimostrano i festival che sta girando nel mondo.
Quando lo incontro Irvine indossa una giacca di pelle nera e jeans stretti che gli fasciano i quadricipiti. Mi fissa con i suoi occhi blu. Per rispondere alle mie domande, spegne il telefono.



D:Lei ha rifiutato il ruolo di Peeta Mellark, il protagonista della saga milionaria The Hunger Games, accanto a Jennifer Lawrence. Perché?
J:«La verità è che volevo dimostrare che il mio primo film non era stata solo questione di fortuna. Partecipare subito a un action movie o a una saga non mi sembrava una buona idea. Prima devi dimostrare di saper recitare, poi eventualmente puoi far parte di un film molto commerciale. D’altronde, Jennifer ha fatto lo stesso».

D:Alla fine, però, ha detto sì alla saga di Fallen, che la impegnerà per anni.
J:«La sceneggiatura e il regista, Scott Hicks, non mi hanno lasciato dubbi. Ho messo nelle sue mani un bel pezzo della mia vita».

D:Dica la verità, vuole diventare il nuovo Pattinson?
J:«Non ho scelto Fallen per diventare famoso né per fare soldi. La fama è una cosa breve. Comunque mi sembra che Robert abbia fatto ottimi film, non c’è solo Twilight».

D:Sembra di sentir parlare Leonardo DiCaprio.
J«Magari, lo considero un esempio da seguire. DiCaprio è come Marlon Brando e io adoro gli uomini circondati dal mistero. Invece, oggi sembra che per fare l’attore tu debba passare le giornate a twittare».

D:In Le due vie del destino ha diviso il set con Colin Firth e Nicole Kidman. Che effetto le ha fatto lavorare con due attori di questo calibro?
J:«Mi hanno insegnato a lasciare da parte pensieri come: “Sono solo il nuovo ragazzino”. Se ti fai intimorire sei fregato. Ancora non riesco a credere che Colin, un premio Oscar, mi abbia invitato a casa sua a Londra per preparare il personaggio insieme. È un uomo appassionato e alla mano, e ha un gran senso dell’umorismo».

D:Siete due inglesi che amano l’eleganza.
J:«Sul red carpet è una cosa, nella vita di tutti i giorni rispetto a Colin preferisco i look più casual. Mi trovo a mio agio con skinny jeans e T-shirt. Ho anche una collezione di giacche in pelle, tutte nere. Mia madre mi prende in giro, non capisce perché le scelgo tutte uguali. La risposta me l’hanno data in passato Domenico Dolce e Stefano Gabbana: il nero è il colore più facile da indossare».

D:Ricorda il suo primo ruolo da attore?
J:«Impossibile dimenticarlo. Gli amici della compagnia teatrale shakespeariana in cui ho iniziato a recitare mi dicevano che ero perfetto per fare l’albero. Di fatto è quello che è successo: la mia prima volta sul palcoscenico è stata con due rami addosso».

D:La molla che l’ha fatta iniziare?
J:«Un grande insegnante di teatro mi ha detto che la scuola di recitazione sarebbe stata pesante come l’addestramento militare. Non so dirle perché, ma invece di spaventarmi questo paragone mi ha sedotto».

D:È vero che a 19 anni voleva anche arruolarsi nell’esercito britannico, ma poi è stato rifiutato?
J:«Ho avuto anch’io la tipica fase di ribellione da teenager. Ma tornando alla divisa, per fortuna la mia vita ha preso un’altra direzione».

D:Lei ha cambiato cognome prendendo quello di suo nonno, perché?
J:«C’era già un Jeremy Smith, e siccome devi averne uno unico, mi hanno chiesto di sceglierne un altro».

D:Sua madre è una politica, e tra le altre cose si occupa di ridare una casa ai senzatetto, e suo padre è un ingegnere. L’hanno presa sul serio vedendola in scena, a fare l’albero?

J:«Per due anni nessuno mi ha fatto lavorare, venivo respinto cinque volte a settimana. Il dubbio di aver buttato via il mio tempo mi è venuto, confesso. Stavo per mollare».

D:Che cosa gliel’ha impedito?
J:«Solo la vergogna di ammettere una sconfitta. Avevo già un lavoro part time, tra un’audizione e l’altra realizzavo siti web per amici, per fare un po’ di soldi. Non ero affatto capace ma mi impegnavo al massimo. Comunque, nonostante due anni di insuccessi i miei genitori non mi hanno mai scoraggiato, anzi».

Il tempo a mia disposizione è finito. Prima di salutare l’attore gli chiedo se non ha paura di montarsi la testa e non riuscire a gestire il successo.

Irvine diventa serio: «Sono una persona che osserva molto gli altri», dice. «Ho visto star come Michael Douglas e Nicole Kidman: loro sono felici per ciò che fanno, non perché le persone le fermano per strada. Ho capito che se lo fai per passione ne vale la pena, altrimenti stai buttando via la tua vita». E io capisco un’altra cosa: è stata la passione che ha fatto sopportare a Irvine due anni di porte chiuse in faccia.
 GRAZIA 38 2014 by CRISTIANA ALLIEVI

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